Una Generazione in attesa della Tragedia




Il mondo esterno ci appare sempre più instabile e fragile: la precarietà del lavoro, l'instabilità dei rapporti sociali, la paura dell'altro, l'incapacità di instaurare relazioni durature ne sono solo alcuni esempi.

Pertanto, non ci resta che rifugiarci nel nostro piccolo mondo, fatto di piccole abitudini e di piccoli riti quotidiani, a cui restiamo aggrappati come naufraghi nel terrore di annegare.

A lungo andare però tali riti, privati dello scambio col mondo esterno, diventano sempre più ossessivi e maniacali. Si ammalano.
A quel punto, quel nostro piccolo mondo, diventa la nostra piccola prigione dalla quale però ci è impossibile evadere, in quanto là fuori ci aspetterebbe un mondo ancor più minaccioso.

E allora non abbiamo più scelta: dobbiamo rendere la nostra piccola prigionia più lieta possibile. Ma come? Aspettando che là, nel mondo, accada una tragedia sempre più grande, così da rendere la nostra più sopportabile.

Siamo in costante attesa che accada una qualche tragedia come unica soluzione in grado di sollevarci dalla nostra prigionia: parlare di sciagure, di morti o di incidenti ci distrae dal nostro piccolo mondo, ci fa evadere dalla stretta realtà e ci fa sentire liberi.

Il problema è che, a furia di aspettare la tragedia, questa avviene per davvero: siamo noi stessi infatti, senza accorgercene, a porre le basi affinché questa avvenga. Ma tanto più il nostro piccolo mondo diventerà oppressivo, tanto più sarà grande la tragedia che andremo a cercare. Ed ecco consumarsi la gara al "peggio" a cui quotidianamente assistiamo. S.C.