L'empatia è quella capacità che ci consente di
sentire ciò che l'altro sente, di metterci nei panni dell'altro, di
sentire le sue stesse emozioni e quindi di comprenderlo.
Quando questa capacità viene meno, non si è più
in grado di riconoscere emozioni, affetti o sentimenti nell'altro,
che viene quindi privato della propria soggettività. Di
conseguenza, avviene un terribile passaggio: l'altro non viene più
visto come un "soggetto" ma bensì come un
"oggetto".
Da questo prendono avvio tutte quelle drammatiche
situazioni che quotidianamente i Tg ci ricordano: omicidi, violenze,
abusi, che altro non fanno se non dimostrare come la totale mancanza
di empatia trasformi gli altri in oggetti su cui poter fare ciò che
si vuole.
Il paradosso è che
privando l'altro della propria soggettività ci priviamo noi stessi
della nostra: l'identità infatti si struttura solo nel rapporto con
l'altro, in quell'incontro in cui è possibile riconoscere tracce
delle proprie emozioni e sentire quelle dell'altro.
Ad incentivare questo
passaggio da "soggetto" ad "oggetto",
nel mondo d'oggi, v'è un determinato uso del linguaggio: oggi infatti sia per descrivere le persone sia per descrivere le macchine, si utilizzano gli stessi aggettivi: le persone devono essere
“funzionali” “efficienti” ed ottenere buone
“prestazioni” esattamente come le macchine, cioè come cose.
Ciò che si dimentica è che il linguaggio non è
solo un mero strumento descrittivo, ma serve a costruire
letteralmente il mondo in cui si vive: il linguaggio cioè influenza
la nostra percezione del mondo, genera i nostri pensieri e di
conseguenza le nostre azioni.
Così, utilizzando lo stesso linguaggio sia per le
cose che per le persone, si finisce per trattare le cose come persone
e le persone come cose, in quella confusione in cui siamo soliti
smarrire ogni traccia di noi stessi. S.C.