Sull'omicidio di Luca Varani



“Volevamo uccidere qualcuno, volevamo vedere l'effetto che fa”. Questo è quanto dichiarato da uno dei due ragazzi arrestati per l'omicidio di Luca Varani.  
Se si vuol sentire che “effetto” fa uccidere qualcuno, vuol dire che nulla fa più effetto nella vita, che dentro alberga un deserto, una voragine, un vuoto di senso incolmabile. Neanche la droga fa più “effetto” in quanto usata, così pare, per aumentare il coraggio e cioè per mettere a tacere anche l'ultimo sussulto interiore che avrebbe potuto evitare la tragedia.

Cosa c'è nella mente di queste persone?  
La totale mancanza di quella capacità, chiamata empatia, che consente di mettersi nei panni dell'altro, di sentire le sue stesse emozioni e quindi di comprenderlo. Quando non si ha una propria “biografia emotiva” risulta impossibile riconoscerla negli altri, che a quel punto saranno percepiti  non più come soggetti ma come oggetti su cui poter fare ciò che si vuole. 
All’interno di un percorso evolutivo sano, il soggetto in crescita dovrebbe imparare, grazie soprattutto alla relazione con le figure genitoriali, a valutare l’opportunità o meno di agire un impulso aggressivo: ma se questo percorso fallisce, lo "spazio" interiore non si struttura e la riflessione diventa impossibile, per cui ciò che resta è solo un gesto senza senso.

Perché nessuno si è mai accorto del loro abisso interiore?  
Perché, troppo spesso, ci preoccupiamo solo di quanto una persona “funzioni” socialmente: i due arrestati sono entrambi studenti e uno un noto pr romano.
Ma il funzionare bene socialmente non è garanzia di un mondo interiore integro e stabile, anzi: la società di oggi insegna solo ad essere funzionali ed efficienti ed i genitori sembrano interessati solo a controllare che i propri figli corrispondano a tali modelli. 
Ciò che manca sono i limiti grazie ai quali si strutturano quei “freni inibitori” in grado di bloccare il passaggio da un pensiero malsano ad una azione irreparabile. Ma questi limiti oggi chi li insegna? la società insegna a non averne, ad essere illimitati, ad ottenere tutto e subito ed i genitori tendono a concedere tutto ai figli visto il poco tempo che passano con loro. 
Allora i ragazzi, che necessitano di limiti per costruirsi un'identità, li vanno a cercare da soli e purtroppo li trovano oltre il limite, in quelle situazioni tragiche in cui il limite è già stato superato. 

Ci può essere pentimento?  
Il pentimento è strettamente legato al senso di colpa e all'empatia e questa non si forma dall'oggi al domani. È impossibile provare pentimento se non si è introiettato prima un codice di comportamento (etico) fatto di regole e di imperativi, se manca cioè il riferimento ad una legge interiore.

Che fare?  
Al di là del caso specifico, credo sia importante ristabilire nell'educazione il senso di colpa, quel freno senza il quale tutto diventa possibile. E' interessante notare come il senso di colpa oggi non sia più in relazione all'altro ma sia in relazione solo a sé stessi: ci si sente in colpa perché magari non si è riusciti a rispettare una dieta e non più perché quel comportamento ha ferito un'altra persona; è passato cioè da un fattore di relazione ad un fattore prettamente individuale, che rispecchia fedelmente il carattere individualistico della società in cui siamo immersi. S.C.